“Volevo nascondermi” su grande schermo

Elio Germano @ Chico De Luigi

di Luca Ragazzi

Fresco dei 7 David di Donatello appena vinti, approda nelle arene estive il film Volevo nascondermi che ormai è stato consacrato “film dell’anno”. È il quarto titolo di Giorgio Diritti, nuovo cantore di un certo tipo di cinema poetico che si ascrive nel solco della tradizione di Ermanno Olmi, un cinema fatto di protagonisti spesso appartenenti al mondo rurale, in lotta con la natura o con il lato oscuro dell’uomo, un cinema fatto di silenzi e spesso abitato da attori poco noti.

Certo, Volevo nascondermi non è L’Albero degli Zoccoli, ma i tempi sono quelli che sono, e vale la pena accontentarsi. Fin dal suo esordio del 2005 con Il vento fa il suo giro (titolo accattivante per un film probabilmente sopravvalutato) cui ha fatto seguito L’Uomo che verrà e Un giorno devi Andare (entrambi lungi dall’essere film completamente riusciti ) con questo nuovo lavoro firma senz’altro il suo titolo più maturo.

La storia è quella vera di Antonio Ligabue, nato povero nella Svizzera tedesca figlio di migranti, malaticcio (rachitismo e gozzo) e per questo cresciuto tra sanatorio, scuole dalle quali veniva espulso per cattiva condotta e ricoveri in ospedali psichiatrici. Molto bella la scena in cui il protagonista, di fronte allo psichiatra che deve esaminarlo, si nasconde sotto il mantello, indossato a mo’ di corazza e spia il mondo da una fessura. Impossibile non cogliere la citazione a Elephant Man di Lynch.

Espulso in Italia dopo una violenta lite con la madre e la denuncia da parte della stessa, ripiegò a Gualtieri, borgo di Reggio Emilia dove condusse una vita di stenti, abitando in baracche di fortuna sul ciglio del Po, ripudiò il nome del padre Laccabue, reo di aver, secondo lui, ucciso la moglie e i tre fratelli avvelenandoli, fin quando non venne incoraggiato dallo scultore Renato Marino Mazzacurati a perseguire il suo talento di pittore.

Le tele che dipingeva sulla riva del Po raccontavano di mondi lontani e animali esotici come tigri, zebre o leoni che lui aveva visto chissà dove rappresentati, forse in qualche cartolina o rivista illustrata, ma anche scene di caccia o di vita domestica. Molti gli autoritratti, che richiamano da vicino quelli di Vincent Van Gogh. Qualcuno ha voluto vedervi influenze con la corrente francese dei fauves o con l’espressionismo tedesco, certo è che è stato catalogato come pittore naïf (anche se lui probabilmente non sapeva di esserlo).

Questa è la parte senza dubbio più affascinante e riuscita del film, anche grazie alla suggestiva fotografia (di Matteo Cocco) a delle scenografie indovinate (Ludovica Ferrario, Alessandra Mura e Paola Zamagni) e un sapiente uso della musica e del sonoro. E poco importa se nella seconda parte, quella del riscatto, dell’ingresso in società di Ligabue, della sua passione per le motociclette e le automobili, dei primi quadri venduti e della mostra a Roma, il film prende una strada più convenzionale, meno autoriale e sicuramente meno ricercata, con qualche concessione all’estetica televisiva che è poi il cancro della nostra cinematografia.

Il problema è semmai un altro: per le persone (e sono tante) che nel 1977 videro lo sceneggiato RAI (si chiamavano così quelle che poi sono diventate le “fiction”, poi i film TV e infine le serie) sul pittore Ligabue diretto da Salvatore Nocita e scritto nientemeno che da Cesare Zavattini e Arnaldo Bagnasco, uno sceneggiato che fece epoca e che lanciò un attore straordinario come Flavio Bucci, questo film di Diritti sa un po’ di déjà vu, la storia è la stessa e molte cose sono quasi identiche.

Resta comunque la prova straordinaria di un attore come Elio Germano, che pure sotto le 4 ore di trucco per applicare la protesi facciale a renderlo più somigliante, riesce ad infondere una vera umanità e una tenerezza infinita a Ligabue. Una performance questa che gli è valsa l’Orso a Berlino, e che si aggiunge alla palma di Cannes per il film di Luchetti La nostra vita (ex aequo con Javier Bardem) e ai 4 David di Donatello: per questo film, per quello citato di Luchetti e anche per l’altro dello stesso regista Mio Fratello è figlio unico, infine per il ruolo di Giacomo Leopardi nel film di Martone Il giovane favoloso.
Quello che arriva fortemente è l’apologia di questa figura a tratti mitica di reietto, di diverso e fuori dagli schemi, costantemente “altro”. In Svizzera era l’italiano e una volta in Italia lo apostrofavano come “Toni el matt”.

Quando Elio Germano ha ritirato il premio a Berlino lo ha dedicato “a tutti gli storti, gli sbagliati, gli emarginati, tutti i fuori casta…”. Mai dedica fu più calzante.

Nella foto di apertura Elio Germano © Chico De Luigi

Lunedì 21 Giugno alle 21.15 Volevo nascondermi è a CineVillage Parco Talenti di Roma. 

CineVillage Parco Talenti dall’11 giugno al 5 settembre
Via Arrigo Cajumi angolo via Ugo Ojetti
Biglietti: 5 euro (prezzo unico)
Abbonamenti: 10 ingressi: 40 euro; 5 ingressi: 22 euro
Lazio Youth Card: 4 euro*
Possessori di Bibliocard: 4 euro*
www.cinevillageroma.it

*Le riduzioni dovranno essere acquistate in biglietteria e sono valide per l’intera manifestazione ad esclusione delle serate con eventi speciali e anteprime.

CineVillage Parco Talenti è un progetto promosso da Roma Culture, vincitore dell’Avviso pubblico Estate Romana 2020-2021-2022 curato dal Dipartimento Attività Culturali ed è realizzato in collaborazione con SIAE. La manifestazione è organizzata con il contributo di Roma Capitale, il sostegno della Regione Lazio e patrocinata dal Municipio Roma III e da Roma Lazio Film Commission. Si svolge in collaborazione con CONI Lazio e il supporto di Impreme Spa e di numerosi partner.

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