Intervista ad Ivano De Matteo sul film ‘Villetta con ospiti’

a cura di Mario Soldaini

Ivano De Matteo dopo La vita possibile torna al cinema con Villetta con ospiti (2020). Una rappresentazione tragica del nostro tempo. In programma venerdì 27 agosto alla manifestazione Notti di Cinema a Piazza Vittorio, Ivano De Matteo incontrerà il pubblico prima della proiezione. Mario Soldaini lo ha intervistato per noi.

L’idea di una Villetta con Ospiti sembra unire in sé la tua esperienza teatrale con i noir francesi di Roger Nimier e Louis Malle, forse anche per la polemica antiborghese.

«È vero! Ho messo nel film tutta la mia esperienza teatrale, accanto a quella della mia compagna, e scelto tutti attori provenienti dal teatro. Il teatro credo ritorni anche nella composizione delle scene. Il film è diviso in due parti: esterno giorno e interno notte, tanto che per un periodo abbiamo anche pensato di dare questo titolo, poi abbiamo cambiato idea. Quanto ai film di Malle ci siamo ispirati a Ascensore per il patibolo e l’abbiamo fatto anche rispetto alla colonna sonora – che infatti è jazz – composta per l’occasione da Francesco Cerasi. Diciamo che per il jazz ho una passione antica che origina da un vecchio locale che avevo diversi anni fa… ».

Si ritrova la contraddizione tra ciò che è socialmente accettabile e ciò che è invece moralmente riconosciuto. Ricorda un po’ l’epopea scandalistica di Germi, penso a Signori e Signore ma non solo.

«Signore e signori è l’altro film che abbiamo rivisto. Più che altro per raccontare una certa ipocrisia del nord est. La mia compagna, Valentina Ferlan, con cui ho scritto questo lavoro è di Trieste e conosce bene quelle dinamiche. Noi abbiamo girato a Bassano del Grappa, volevamo raccontare quelle zone là, per cui rivedere il Veneto di Germi è stato decisamente importante».

 

Villetta con ospiti Ivano De Matteo e Marco Giallini
Ivano De Matteo sul set di Villetta con ospiti insieme a Marco Giallini.

Anche in questo film ritroviamo la presenza di una famiglia, presenza costante nei tuoi film. Penso anche a I nostri ragazzi… Ma qui è una famiglia forse colpevole?

«Qui diciamo che si è ricreato il nostro cinema. Il tema della famiglia non ci ha mai abbandonato. I nostri film girano sempre attorno alle famiglie da La bella gente, a Gli equilibristi come anche I nostri ragazzi. Ma qui la famiglia viene intesa come gruppo, come una comunità del nord est; e non è il racconto di una famiglia singola quanto di diverse famiglie messe assieme che a un certo punto, per forza di cose, divengono un branco. E proprio quel branco che viene richiamato dalla scena iniziale con i lupi».

Chi rappresentano questi personaggi? Hanno qualcosa da difendere?

«Sono tutti individualisti, ognuno è colpevole ma lo è per difendere il piccolo orticello personale. La famiglia che si spacca e diviene individualista. Nel film lo fanno il poliziotto, il medico, il prete; ognuno ha qualcosa da nascondere e in questo senso da difendere. Nessuno pensa che il proprio comportamento possa trasformarsi in colpa e attende. Ma intanto non tutto va come previsto. Poi ci sono altri temi: il tema delle armi in casa, della difesa personale, della legittima o illegittima difesa».

E la cronaca…

«Sì, poi di fondo c’è un fatto di cronaca avvenuto a Ladispoli alcuni anni fa, il caso Vannini».

Proprio la cronaca ritorna spesso nella tua poetica, penso ai nostri ragazzi.

«I nostri ragazzi è preso da un libro di Herman Koch, La cena, ispirato a sua volta da un fatto di cronaca. Anche Gli equilibristi è tratto da un articolo che avevo letto su L’Espresso. Tutte problematiche che una volta analizzate non si limitano al fatto circoscritto ma mostrano una dinamica sociale molto più grave e diffusa di quanto non si pensi».

Sono sette personaggi in cerca di autore nel senso che i tuoi sette personaggi, per caratteristiche, alla fine descrivono un uomo preso con tutte le sue contraddizioni.

«Tutti i sette personaggi messi insieme fanno un essere umano. L’ottavo diciamo che è la parte buona, la speranza che deve essere salvata, ma non avevamo alcuna voglia di rappresentare il buono come il tipico bravo ragazzo e, dunque, anche nell’ottavo personaggio non è possibile riconoscere il buono proprio come tale. E poi i personaggi, a loro modo, sono tutti stranieri. Parliamo di stranieri come stranieri in patria. Il poliziotto napoletano al nord è straniero, la famiglia rumena è straniera, Giallini che è romano e va al nord è chiamato comunque terrone. Insomma tutti i personaggi sono a loro modo stranieri e sono sette come sono sette i vizi. Ma è stato quasi casuale. Rileggendo la sceneggiatura ci siamo accorti che ognuno di quei personaggi incarnava un vizio capitale. Il poliziotto la Superbia, il prete la Lussuria e così abbiamo semplicemente rafforzato quei personaggi… ».

Il film è una tragedia moderna dove non c’è un unico colpevole e l’immedesimazione classica avviene con tutti senza che vi sia alcuna possibilità di catarsi.

«Questa è una tragedia greca. Mi piace pensarla con l’idea di un coro attorno. Ho girato la scena finale cercando di mantenere aperto il film per non svelarlo completamente, così che lo spettatore possa immedesimarsi come crede. L’opera d’arte deve rimanere aperta allo spettatore. Non servono risposte, io non ne ho. Ho soltanto domande, tante domande… ».

E c’è una sottotrama politica?

«Quando un uomo cerca di difendersi da qualcosa finisce sempre con il ritrovarsi quella cosa accanto, così credo accada a questi personaggi».

Raccontaci un po’ del tuo amore per la pellicola. Che tipo di rapporto hai ?

«Quello con la pellicola è un rapporto etico prima che artistico. Amo la pellicola, ho girato tutti i film in pellicola e ho scelto di girare anche il prossimo film in pellicola. Ma è un fatto etico perché responsabilizza tutti quelli che lavorano al film. Io so di avere un numero limitato di metri di pellicola e devo attenermi a ciò che ho. Così sei costretto a non girare le code, a fermarti quando non serve, a dire: Stop. E poi la pellicola esiste, la vedi, la senti. Che dire… è materia! E come tale impressiona».

Come è stato il ritorno sul set nella veste di attore per il noir di Michela Cescon?

«Divertente. Mi ha chiamato Michela per il suo debutto, ho letto la sceneggiatura e mi divertiva. Così mi sono detto: perché no!… Con la Golino avevo lavorato a La vita possibile e Jean-Hugues Anglade non lo avevo ancora mai incontrato. È stato tutto molto bello».

Ci dici qualcosa dei progetti futuri?

«Ho girato una piccola cosa a Trastevere con il telefonino fuori dal bar S. Calisto, durante la zona rossa. Lo presenterò a settembre alla giornata degli autori a Venezia. Si chiama TrastWest. Poi dovrei iniziare il prossimo lungometraggio. Per ora sappiamo che è in pellicola, il resto si vedrà».

Nella foto in alto, sotto al titolo, il regista Ivano De Matteo durante il photocall del film Villetta con ospiti, Roma, 20 gennaio 2020 © ANSA / Ettore Ferrari

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