Cartolina da Venezia

© Ludovico Cantisani

di Ludovico Cantisani

Seconda edizione della kermesse nel tempo del Covid, quest’anno la Mostra del Cinema di Venezia è stato l’evento internazionale sul quale più di ogni altro l’industria cinematografica globale ha scelto di puntare per “ripartire”. Complice anche lo spostamento di Cannes in un atipico luglio, quest’anno la Mostra del Cinema di Venezia diretta da Alberto Barbera ha potuto godere di uno dei programmi più fitti e sorprendenti di tutta la sua storia, capace di rivaleggiare con i tempi d’oro del cinema degli anni sessanta e settanta.

Il film d’apertura, Madres paralleles di Pedro Almodovar, arrivava con un ricco cast appena due anni dopo l’assegnazione del Leone d’Oro alla Carriera al regista spagnolo; e dal primo giorno in poi il programma della Mostra, tanto nella Selezione ufficiale quanto nella sezione Orizzonti quanto in altre rassegne parallele come le Giornate degli Autori o la Settimana Internazionale della Critica, è stato denso di film attesi oltre ogni limite di hype e di sorprese inaspettate, come L’Événement, il film francese diretto da Audrey Diwan che ha vinto il Leone d’Oro.

C’è da dire che i titoli più attesi, almeno dal grande pubblico, erano tutti film americani e Fuori concorso, in modo da premiare soprattutto le produzioni europee ed asiatiche di stampo più autoriale: i primi giorni del festival sono stati scossi dall’arrivo dell’immenso cast corale dell’epopea fantascientifica Dune, diretta da Denis Villeneuve con protagonista Timothée Chalamet. A ruota è arrivato il thriller psicologico Last Night in Soho, diretto da Edgar Wright, regista noto più che altro per le sue commedie brillanti e irriverenti, che vede protagoniste Thomasine McKenzie e Anya Taylor Joy, al centro di uno scambio di identità fra epoche: e tanto Dune quanto Last Night in Soho hanno rappresentato due fra i red carpet più chiacchierati della kermesse.

Negli ultimi giorni del festival sono arrivati altri due titoli Fuori concorso: Halloween Kills di David Gordon Green, ennesimo capitolo di una delle più longeve saghe horror che nondimeno riesce a dare nuova freschezza al suo archetipo, e il kolossal medioevale The Last Duel di Ridley Scott, con Matt Damon, Ben Affleck, Adam Driver e Jodie Comer protagonisti: e al centro dell’attenzione della stampa e dei fotografi è stato il ritorno sul red carpet della coppia Ben Affleck e Jennifer Lopez, tornati insieme dopo più di quindici anni dalla loro chiacchierata separazione.

Quest’anno Venezia si è fatta notare anche per la scelta atipica e complementare dei due Leoni alla Carriera: uno a Roberto Benigni, la prima sera del Festival, che ha incantato tutti con la dedica alla moglie Nicoletta Braschi; l’altro alla scream queen Jamie Lee Curtis, protagonista della saga Halloween ma anche di molti altri film cult come Un pesce di nome Wanda, True Lies di James Cameron e Una poltrona per due.

Irripetibile è stato anche il Concorso ufficiale, con una nutrita presenza di film italiani accompagnati da titoli provenienti da tutto il mondo, diretti sia da grandi autori già affermati che da giovani cineasti in ascesa. Sul fronte Italia, il film più apprezzato è stato l’autobiografico È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, co-prodotto da Netflix e vincitore del Leone d’Argento; ma molto incisivo si è rivelato anche Il buco di Michelangelo Frammartino, a cui è andato il Gran premio della Giuria, avventura speleologica nel cuore della Calabria arrivata ben undici anni dopo il successo di critica de Le quattro volte.

Molto apprezzato ma rimasto a mani vuote nonostante i pronostici è stato il biopic di Mario Martone Qui rido io, che vede Toni Servillo protagonista nei panni del commediografo napoletano Eduardo Scarpetta in un film che fa luce anche sull’origine e sull’infanzia dei tre fratelli De Filippo; un’accoglienza più fredda ha ricevuto invece America Latina, thriller decostruttivo scritto e diretto dai fratelli D’Innocenzo alla loro opera terza dopo i più acclamati La terra dell’abbastanza e Favolacce.

I film italiani si sono fatti notare anche per la molteplice presenza di Toni Servillo, da alcuni giudicata eccessiva: l’attore napoletano infatti è stato protagonista di ben tre film della selezione principale, È stata la mano di Dio di Sorrentino, dove interpreta il padre del regista, il già citato Qui rido io, e soprattutto Ariaferma, una delle maggiori sorprese del festival.

Diretto dal regista Leonardo Di Costanzo, già autore di altri film e documentari apprezzati dalla critica festivaliera ma con una scarsa distribuzione nei cinema, Ariaferma è un prison drama sospeso tra il sociale e l’esistenziale, in cui l’interpretazione di Servillo nei panni di un secondino spicca accanto a quella di Silvio Orlando nei panni di un prigioniero. Molti davano Servillo come il più papabile per la Coppa Volpi per la Migliore interpretazione maschile, che invece è andata al filippino John Arcilla per il film On the Job: The Missing 8 di Erik Matti; la Coppa Volpi per la Migliore interpretazione femminile l’ha vinta invece Penelope Cruz grazie al film di Almodovar.

Nonostante le restrizioni imposte dal Coronavirus, prima fra tutte il red carpet “protetto” e coperto da più lati per impedire un’eccessiva affluenza di pubblico, la Mostra del Cinema di Venezia ha saputo recuperare la sua freschezza di sempre, sospesa tra una spensieratezza glamour e una meditata selezione composta di continue sorprese.

Foto © Ludovico Cantisani

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