Io e Carmelo Bene. “Cominciò che era finita” di Luisa Viglietti

di Ludovico Cantisani

Luisa Viglietti (Napoli, 1964) dopo essersi diplomata all’Accademia delle Belle Arti di Napoli inizia una carriera come costumista nel teatro, nel cinema e nella televisione. Nel 1994 conosce Carmelo Bene, del quale diventa compagna fino al 2002, anno della morte del maestro della phoné, collaborando attivamente alla realizzazione di tutti i suoi costumi dall’Hamlet Suite del 1994 fino a In-vulnerabilità di Achille del 2000. Dal 2002 al 2005 ha ricoperto il ruolo di segretaria generale della fondazione “L’immemoriale di Carmelo Bene”.

A dicembre 2020 è uscito per Edizioni dell’Asino il suo memoir Cominciò che era finita, sugli anni trascorsi assieme a Carmelo.

Quali sono le sue origini e il suo percorso come costumista? Come ha conosciuto Carmelo Bene?

Nata e cresciuta a Napoli, nel 1987 subito dopo aver concluso i miei studi di scenografia e costume all’Accademia di Belle Arti di Napoli, mi sono trasferita a Roma per lavorare. Dopo gli studi e le prime esperienze teatrali, avevo capito che dovevo imparare sul campo, attraverso l’esperienza diretta, Odette Nicoletti mi accolse nel suo studio. La seguii al Teatro la Scala di Milano per la messa in scena di Orfeo ed Euridice di Gluck con la regia di Roberto De Simone e la direzione di Riccardo Muti.

Sempre con lei collaborai alle ricerche documentali per Capitan Francassa di Ettore Scola. L’anno successivo arrivò il mio primo lavoro remunerato, ero addetta alle elaborazioni artistiche dei costumi per la sartoria GP11 di Roma, ero l’assistente di Gabriele Pacchia, per circa 5 anni ho potuto collaborare alla realizzazione di costumi di numerose produzioni, tra cinema teatro e televisione: Luca Ronconi, Roberto De Simone, Giancarlo Cobelli, Marco Ferreri, Tinto Brass, Graham Vick, solo per citarne alcuni. Dopo cinque anni quella esperienza si era conclusa, desideravo lavorare sulle produzioni, e così andai via dalla sartoria.

E nel 1992 accettai di collaborare con Valentina Di Palma ai costumi per il film Placido Don di Serghey Bondarciuk, nell’anno successivo per il film televisivo L’aquila della notte di Cinzia Th Torrini, e di seguito per la prima produzione del film I crociati di Ridley Scott con i costumi di Milena Canonero. Fino al 1994 quando per realizzare i costumi di Hamlet suite incontrai Carmelo Bene.

Lei incontrò Bene per la prima volta poche ore prima della sua storica apparizione al Maurizio Costanzo Show la sera del 27 giugno 1994. Bene ha avuto un rapporto critico ma costante con la televisione, fra apparizioni nei talk show e riedizioni in video dei suoi spettacoli. Come parlava, nel suo quotidiano, di queste apparizioni televisive, come si preparava per andare da Maurizio Costanzo? Dal suo punto di vista queste apparizioni televisive in che rapporto stavano con il resto della sua opera?

Ho conosciuto Carmelo Bene nel 1994, quando alle spalle aveva già una carriera ben strutturata, e una fama riconosciuta. Anni prima era stato ospite di Costanzo e di altre trasmissioni televisive, come Acquario 1979, poi ancora nel 1990, che lo individuavano come artista e “personaggio”. Nel 1994 ritornava in televisione dopo una pausa di qualche anno che lo aveva visto lontano dalle scene con uno scopo preciso: il debutto di Hamlet suite aveva bisogno di un lancio mediatico straordinario che grazie alla popolarità della trasmissione e alla sua straordinaria dote retorica realizzò facilmente. Aveva una conoscenza del mezzo televisivo che non lasciava niente al caso, ma non aveva niente di programmato, non studiava una parte per intenderci. E a parte il riscontro mediatico quelle occasioni non erano da parte sua oggetto di particolare attenzione. Usava quelle occasioni ai fini di procurarsi i finanziamenti per le sue ricerche teatrali. L’indomani del Costanzo show del 1994 gli arrivarono proposte di ingaggio per i due anni successivi. Le registrazioni teatrali degli spettacoli erano invece l’occasione per la creazione di una memoria artistica. Non erano certo produzioni televisive da prima serata, anzi la maggior parte delle volte venivano trasmesse all’alba, per i pochi spettatori insonni del palinsesto notturno.

Cominciò che era finita ricorda che, nel 1995, durante una vostra vacanza, vi raggiunse Sandro Veronesi per registrare una lunga intervista a Carmelo rimasta nota con il titolo di “C.B. versus cinema”. Come si svolse quell’intervista? Quale era il pensiero di Bene sul cinema, dopo quarant’anni di carriera in teatro e cinque film da regista?

Sandro Veronesi era arrivato a Otranto per registrare una lunga conversazione sul cinema da scomporre all’interno di una trasmissione che avrebbe condotto insieme ad Amanda Sandrelli in diretta dal Lido di Venezia durante il Festival del Cinema. Avevamo organizzato il set in casa, la telecamera inquadrava Carmelo e Sandro fuori campo gli porgeva le domande. Ogni domanda di Sandro sulla valenza del cinema come opera d’arte veniva smontata da Carmelo: “Io stesso ho frequentato un cinema di demolizione dell’immagine. Dal montaggio convulso, dalla ripetitività, dalla ripetizione come differenza, certe poggiature, certi sfondamenti nel bianco contrapposti a uno strano colore talmente inaccettabile. Deve essere inaccettabile e incomprensibile, così come il grande teatro è accettabile se è incomprensibile, se esce dal logos, se esce dalla dialettica, se esce dalla documentazione, se esce dal film appunto documento, dal film inchiesta. Non esiste la fantasia. La fantasia appartiene alla patologia, meglio lasciarla perdere.”

Dal il 1968 al 1973 esaurisce il suo interesse verso il cinema. Nel 1968 per sperimentare il mezzo cinematografico si esercita a fare cinema con il cortometraggio Hermitage poco prima di girare Nostra Signora dei Turchi,di seguito con la scansione di un film all’anno girerà Capricci 1969, Don Giovanni 1970, Salomè 1972, Un Amleto di meno, 1973. Come attore partecipa a Edipo re di Pier Paolo Pasolini, Lo scatenato di Franco Indovina, Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock di Nico D’Alessandria, Umano, non umano, di Mario Schifano, Colpo rovente, di Piero Zuffi, Necropolis di Franco Brocani, Tre nell’anno mille di Franco Indovina, Claro di Glauber Rocha. Chiude il capitolo cinema per sempre, da produttore, autore, regista e attore. Nonostante premi e una parte di critica favore, e la popolarità che gli era pervenuta, gli incassi non garantivano le spese.

Il memoir racconta anche di lunghe notti passate da Carmelo con la TV ininterrottamente accesa. Quando era uno “spettatore” davanti allo schermo, quale era l’approccio di Carmelo alla TV? C’erano dei film che gli piaceva vedere?

La tv ovvero la finestra sull’umanità. Carmelo ai piedi del letto aveva fatto montare un televisore gigantesco per l’epoca, era un cassone nero, monumento dell’umana volontà e rappresentazione. Quale occasione migliore per sguazzare nel torbido, dove tutto è fiction. Dagli umani, al di là delle rappresentazioni televisive, Carmelo non si aspettava niente di buono, e se capitava l’opposto allora era tutta una festa. Nel 1970 nella collana Materiali di Feltrinelli, Carmelo pubblica L’orecchio mancante, il suo saggio sul cinema. In una nota al capitolo 11 satirico/critico sul cinema italiano dichiara “i più bei film che abbia visto li ho letti, o, se li ho visti mai al cinematografo”.

In quel capitolo utilizza la poesia Signorina Felicita di Guido Gozzano come soggetto del film interrotta da brani in una lingua inventata in cui si diverte a creare delle caricature dei maggiori autori del cinema italiano, De Sica, Pasolini, Risi, Bellocchio, Visconti, Petri, Antonioni, Fellini solo per citarne alcuni. Un divertimento che con gli anni si era prestato a creare il gioco “caccia al regista” in qualche serata tra amici.

Conosceva le filmografie complete dei suoi contemporanei, aveva amato Il Casanova di Fellini, Blow Up di Antonioni, Accattone di Pasolini. Guardavamo in televisione il cinema prevalentemente dalla programmazione di Fuoriorario. All’epoca non esisteva la tv on demand. E il sistema della distribuzione cinematografica era legato essenzialmente alle sale, luoghi a lui sconosciuti. Negli ultimi anni aveva apprezzato Joao Monteiro e Ciprì e Maresco, uniti, se vogliamo dall’idea comune anche a Carmelo, di argomentare vizi e virtù di un uomo ridicolo.

Fra i molti ricordi contenuti in Cominciò che era finita c’è anche la serata al Festival di Taormina del 1995, dove Bene, invitato da Enrico Ghezzi, assegnò alcuni premi, uno a sé stesso, a Massimo Troisi, alla redazione di Blob nonché a Michelangelo Antonioni, “per l’involontaria comicità del suo cinema”. Antonioni era un regista spesso presente nelle riflessioni di Bene sul cinema; fu peraltro lei, in quanto napoletana, a ricevere il premio assegnato a Troisi. Cosa ricorda di quella serata?

La partecipazione di Carmelo al Festival di Taormina segna anche l’inizio della nostra relazione. Dopo le fatiche del debutto di Hamlet suite a Verona, doveva essere una specie di gita. I premi li aveva pensati per esprimere alcuni disappunti. Aveva sempre apprezzato Massimo Troisi, la sua fredda comicità e il suo modo di porgere le battute, capace di trasformare ogni frase in una domanda. Mi chiese di ritirare il premio “A nome della città di Napoli” per coinvolgermi nella serata. Il premio poi qualche mese dopo Carmelo lo consegnò alla sorella di Troisi. Antonioni era ospite anche lui del festival e Carmelo aveva pensato di rendergli omaggio a modo suo, “Maestro inimitabile del cinema comico”, e sarebbe stato divertente vedere la sua reazione, ma qualcuno dell’organizzazione pensò bene di portare via Antonioni dalla sala poco prima. Peccato. Era accompagnato da un gruppo di persone serissime e severissime, l’èlite intellettuale del cinema.

Oltre che compagna di vita lei è stata collaboratrice agli spettacoli di Bene come costumista da Hamlet Suite in poi. Come avveniva la preparazione di uno spettacolo di Bene? Quali sono stati i costumi più difficili da realizzare e quale materiale avete impiegato?

Dal 1994 al 2002 ho collaborato alla messa in scena di Hamlet Suite, Canti orfici di Dino Campana, Macbeth Horror Suite, Adelchi, Voce dei Canti di Giacomo Leopardi, Pinocchio, ovvero lo spettacolo della Provvidenza, Lectura Dantis, Canti Orfici, Gabriele D’Annunzio Concerto d’autore (Poesia da La figlia di Iorio), Invulnerabilità d’Achille. Contemporaneamente agli spettacoli Carmelo proprio in quegli anni inizia la sua collaborazione con la casa editrice Bompiani, per cui l’ho seguito per la pubblicazioni di Opere, ‘l mal de’ fiori..E di tutte le produzioni televisive per Raidue. Se all’inizio con Carmelo mi ero limitata a occuparmi dei costumi, nel tempo condividevo con lui tutte le fasi delle produzioni. Il suo modo di progettare ogni lavoro da casa, non ammetteva divisioni tra la vita quotidiana e i progetti che portava avanti. Così negli anni, per lui mi sono occupata di editoria, teatro, televisione, organizzazione dei seminari. Il progetto più completo che ho realizzato con Carmelo sono stati i costumi per Pinocchio ovvero lo spettacolo della Provvidenza, si trattava di mettere in campo le mie competenze specifiche. Carmelo mi aveva chiesto di replicare i costumi della precedente edizione per Pinocchio e la Fata, ma subito ci rendemmo conto che andavano rivisti, ripensati, anche perché in questa versione la Fata avrebbe dovuto indossare sopra al costume principale tutti i travestimenti (i costumi degli altri personaggi della favola). E per far capire a Carmelo la sovrapposizione degli abiti avevo costruito delle piccole machette, come un gioco di bambole. Insieme a Tiziano Fario che firmava la scenografia e le maschere abbiamo studiato materiali diversi, progettato imbottiture e trucchi per articolare le maschere e i rendere fluido il cambio dei costumi. Con Sonia Bergamasco, che interpretava la Fata/Provvidenza, per mesi sono stati provati meccanismi e gli incastri dei costumi, fino a quando tutta la costruzione del meccanismo non diventò fluido come perché tutto alla fine risultasse come il meccanismo di un carillon.

In-vulnerabilità di Achille del 2000 fu l’ultimo “spettacolo” di Carmelo Bene, a cui seguì una Lectura Dantisnel 2001, a Otranto. Cosa ricorda di queste due ultime esibizioni di Bene? Come si svolsero i suoi ultimi mesi di vita?

Il tema di In-vulnerabilità d’Achille era stato preceduto da l’allestimento nel 1989 a Milano al Castello Sforzesco dal titolo Pentesilea – la Macchina attoriale – Attorialità della macchina momento n°1, l’anno successivo a Roma e a Mosca il Momento n°2. L’ultimo allestimento scenico è stato In-vulnerabilità d’Achille, tratto da Stazio, Omero e Kleist. Spettacolo in versi che lo legava alla ricerca che portava avanti in quegli anni, la pubblicazione del poema ‘l mal dei fiori. Sceglie di riportare in scena il mito di Achille in previsione del passo successivo, portare in scena Leggenda, un poema rimasto inedito.

Il recital di Otranto del 2001 è stata la sua ultima rappresentazione pubblica, una serata unica, molto particolare. Era già malato ma non lo sapevamo, ed era molto affaticato. Una straordinaria occasione per quanti erano presenti. Di li a pochi giorni rientrammo a Roma per approfondire l’origine di quel malessere. I medici non gli lasciarono molte speranze. Gli ultimi sei mesi sono stati terribili, ma anche vissuti attimo per attimo. Il sostegno dei medici e degli amici più cari è stato fondamentale. Il furore che lo aveva sconvolto ne primi mesi alla fine è stato dimenticato.

Molti degli spettacoli che avete allestito assieme sono tuttora visibili e studiabili grazie alle videoregistrazioni di essi, spesso realizzate in collaborazione con la Rai. Il tema del “teatro in video” è tornato molto attuale in questi mesi di chiusura forzata dei palcoscenici e delle sale. Per Bene quale rapporto c’era fra il teatro come si faceva sul palco e le riprese televisive di uno spettacolo? Quali cambiamenti apportava, in vista della sua riduzione televisiva?

Non si faceva sorprendere dal mezzo, gli adattamenti televisivi degli spettacoli teatrali hanno sempre avuto una regia diversa. In generale per il teatro gli autori si limitano a riprendere lo spettacolo, tramite campi larghi, inquadrature della scena. Riccardo III, Bene! Quattro diversi modi di morire in versi, Homlette for Hamlet, Pinocchio ovvero lo spettacolo della Provvidenza, Macbeth horror suite sono stati pensati come dei film per la televisione, e a volte modificati per assecondare le caratteristiche del mezzo.

Dal 2002 al 2005 lei è stata segretario generale della Fondazione l’Immemoriale Carmelo Bene, per esplicito mandato testamentario. Quali iniziative la fondazione ha patrocinato in quel periodo, prima della sua forzata e discussa chiusura?

La Fondazione L’Immemoriale portava a compimento la volontà testamentaria di Carmelo, che desiderava destinare la sua opera e i suoi beni ad una gestione e fruizione pubblica. La sede doveva essere la casa di Otranto con l’archivio, la biblioteca e la nastroteca, doveva diventare un centro di formazione per studiosi, un luogo che avrebbe garantito una vita alla sua memoria. Un consiglio di amministrazione che veniva rinnovato ogni cinque anni, di cui facevano parte la Regione Puglia, la Provincia di Lecce e il Comune di Otranto. L’unico vincolo che aveva posto nello statuto era la mia nomina a Segretario Generale a vita. Si fidava di me, l’avevo seguito per anni e per lui la mia presenza sarebbe stata una garanzia. Custode super partes, garantendomi uno stipendio, parole sue, da insegnante.

Una delle prime attività fu sottoporre il Fondo e parte della biblioteca di Roma a vincolo come patrimonio di rilevante valore storico presso la Soprintendenza Archivistica del Lazio.

Per il Ministero avevamo depositato una lista di otto pagine che identificava i beni: 1500 volumi con le note autografe (di cui circa 540 con note ai margini e circa 1000 autografati), oltre mille fotografie, 700 nastri revox con le registrazioni delle colonne sonore e degli spettacoli live, 50 tra agende e quaderni, e numerose cartelline con progetti. Per completare queste liste avevamo redatto inventari molto accurati e catalogato la biblioteca di Roma, che comprendeva poco più di 6000 libri. Esistono numerosi scritti di progetti mai realizzati, le cinquanta agende custodite nel fondo raccolgono idee che spesso non hanno avuto la fortuna di essere portate alla luce. Avevamo un progetto semplice e risolutivo: raccogliere fondi per digitalizzare tutto l’archivio, sistematizzarlo e affidarlo ad una gestione pubblica. Nell’arco di pochi anni sarebbe stato tutto disponibile. A Roma, a Parigi, a Cracovia, a Milano, a Torino, a Bologna, nel Salento e in altre città la Fondazione aveva collaborato e promosso seminari e convegni. Ma insieme al riconoscimento pubblico arrivò anche l’impugnazione del testamento da parte delle eredi. Nel 2005 il Tribunale di Roma fa decadere la Fondazione dall’asse ereditario perché ha depositato l’inventario dei beni oltre il termine stabilito. Il consiglio di amministrazione promosse il ricorso in appello, ma poi il nuovo Presidente della Fondazione Giovanni Pellegrino decise di ritirarsi promuovendone la liquidazione. E del programma di Carmelo non rimane nulla.

Quanto crede che la figura di Carmelo Bene abbia influenzato il teatro e la cultura italiana dopo di lui? Su cosa le sembra che si fondi il ricordo collettivo di lui e quali sono invece gli aspetti della sua opera e del suo pensiero che vorrebbe vedere maggiormente esplorati e approfonditi?

Dipende da cosa si intende per teatro. Per i Teatri Stabili Italiani Carmelo non è mai esistito allora, figuriamoci ora che è morto da quasi venti anni. Per tanti altri, gli indipendenti, le compagnie autonome, e tanti attori e registi di teatro e anche di cinema Carmelo è un punto di riferimento, un puntino di riferimento.

 

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