Leos Carax. Il regista in fuga

Annette di Leos Carax

di Ludovico Cantisani

“C’è chi si mette degli occhiali da sole/per avere più carisma e sintomatico mistero”. Franco Battiato chiaramente non aveva in mente lui quando scriveva queste parole, ma nel cinema francese contemporaneo si addicono particolarmente bene a Leos Carax, “scheggia impazzita” che, nell’arco di quattro decenni e con un numero tutto sommato basso di titoli al suo attivo, ha saputo creare attorno a sé un’aurea di culto e di mistero non molto diversa, in fondo, da quella che avvolgeva a suo tempo un giovane Jean-Luc Godard.

“Leos Carax” è in realtà lo pseudonimo di Alex Christophe Dupont, nato nel 1960 a Suresnes, poco lontano da Parigi, all’interno di una comune hippie nella quale il futuro regista avvertì piuttosto chiaramente l’assenza di una figura genitoriale di riferimento chiara e netta e il bisogno di costruirsi un’identità da sé. Da ciò derivò anche il nome di Leos Carax, come rivendicazione identitaria: “Ho cambiato il mio nome quando avevo 13 anni. Non so perché ma mi sembrava avere senso, in quel momento. Volevo un’altra identità, volevo reinventarmi. Poi, a 16 anni, scoprii quell’isola chiamata cinema e pensai: ‘che meraviglia, sono pronto: posso vivere qui con questo mio nuovo nome’. Trovavo una magnifica simmetria in tutto questo”.

Appassionatosi di cinema, da giovane riuscì rapidamente a farsi notare e assumere dai Cahiers du Cinéma: dopo qualche articolo, fra cui un pezzo in difesa di Taverna paradiso di Sylvester Stallone e un reportage dal set di Sauve qui peut (la vie) di Jean-Luc Godard, Carax propose al celebre direttore di allora, Serge Toubiana, un suo editoriale contro la linea dei Cahiers, e questo fece interrompere la collaborazione. Dopo questa fugace carriera nel mondo dell’editoria cinematografica Carax passò dietro la macchina da presa, girando alcuni corti fra cui uno dal pittoresco titolo di Strangulation Blues ed arrivando ad esordire al lungometraggio nel 1984, con Boy Meets Girl.

Boy Meets Girl era una storia di amour fou e amour tragique incentrata su una coppia di ventenni, un aspirante regista interpretato da Denis Lavant e una ragazza appena lasciata dal suo precedente fidanzato interpretata da Mireille Perrier. Come Carax avrebbe ricordato anni più tardi, in una densa intervista rilasciata a Nocturno:

Penso di aver vissuto i miei momenti peggiori e quelli più belli facendo film. Ci si può sentire impostori, è una cosa che capita spesso. Non ho fatto studi di cinema, non ho lavorato in altri film prima dei miei, quindi, se lei arriva a 18 anni e dice alle persone: «Voglio fare un film, so farlo, datemi i soldi», non è naturale, comincia con una menzogna. Ma questo sentimento di menzogna è alla fine ricchissimo ed è sempre lì oggi, soprattutto per il fatto che giro così poco. A ogni nuovo film, non sono più un cineasta. Le persone della troupe ho l’impressione che mi guardino dicendosi tra loro: ‘Questo qui non ha girato da così tanto, chissà cosa ci farà fare’. Ma va bene, è una cosa che ispira, anche. A ogni modo, anche se avessi potuto fare più film, non ne avrei fatti più di quelli che ho fatto e ad ogni modo è sano immaginare ogni film come se fosse il primo e ultimo.

Boys Meets Girl e l’immediatamente successivo Mauvais Sang (Rosso Sangue) del 1986 imposero Carax come uno dei più significativi registi emergenti del panorama cinematografico francese di fine anni ottanta, e gli permisero, per il suo terzo film Gli amanti di Point-Neuf, di godere di un budget ben più cospicuo. Il film raccontava di una nuova, tormentata storia d’amore sullo sfondo del più antico ponte di Parigi, stavolta fra un artista di strada di nome Alex e una studentessa d’arte con un occhio bendato di nome Michèle: a vestire i panni di Alex era nuovamente Denis Lavant, Juliette Binoche, allora impegnata in una relazione con Carax, dava invece il volto a Michèle.

Annette di Leos Carax

Gli amanti di Pont-Neuf suscitò qualche giudizio sfavorevole ma complessivamente venne accolto molto bene dalla critica, e col tempo ha raggiunto un suo status di cult almeno all’interno dell’immaginario collettivo francese, ma la sua lavorazione venne funestata da numerosi incidenti legati alla location scelta da Carax: il sindaco di Parigi aveva anche concesso alla troupe di poter girare per dieci giorni sul vero Pont-Neuf, ma un infortunio di Denis Lavant fece slittare in avanti le riprese; il ponte alla fine venne ricostruito ex-novo in una località del Sud della Francia, il budget previsto per il film si moltiplicò esponenzialmente costringendo di fatto un anno di pausa fra le prime riprese e il completamento del girato e, da un costo originariamente previsto di 8-9 milioni di franchi, Gli amanti di Pont-Neuf arrivò a costarne l’elevatissima cifra di 70 milioni, un record per la Francia dell’epoca tuttora raramente sorpassato anche dai film di Luc Besson.

Presentato al Festival di Cannes nel 1991 e distribuito in sala nello stesso anno, Gli amanti di Point-Neuf venne ben accolto ai botteghini, con poco meno di un milione di spettatori nelle sole sale francesi, ma gli incassi non potevano bastare a colmare il gap finanziario enorme che si era creato. Lo stesso Jean-Luc Godard, assieme ad Hitchcock il principale dei modelli registici del cinema di Carax, si premurò di scrivergli una lettera che diceva, citando Balzac, “la gloria è il sollievo dei morti”, “la gloire est le soleil des morts”. Dopo Gli amanti di Point-Neuf la fama di Carax crebbe, ma in una doppia direzione: da un lato, si era ormai imposto come uno dei principali registi francesi del momento, capace di plasmare un film iconico capace di riallacciarsi a una tradizione fondamentalmente surrealista del cinema francese con un nuovo apporto generazionale; dall’altro, iniziò a diffondersi su di lui anche una nomea di regista “difficile”, indeciso, capriccioso e vistosamente incapace di rispettare le tempistiche normali di una produzione cinematografica. Liberamente tratto da Pierre o delle ambiguità di Hermann Melville di cui il titolo è un acronimo, Pola X venne fondamentalmente cassato dalla critica a Cannes con poche eccezioni, e risultò sfortunato anche in termini di incasso commerciale; solo di recente il film è stato rivalutato, in parte anche grazie allo straordinario successo di critica del successivo Holy Motors, ritorno al cinema per Carax.

Dopo l’insuccesso di Pola X Leos Carax, dal carattere già di suo notoriamente ombroso e schivo, era momentaneamente scomparso dalle scene. Da un certo momento in poi, nel corso degli anni duemila aveva iniziato a cercare i finanziamenti per un suo quinto film, che doveva programmaticamente girarsi in inglese e con un ampio budget, ma il ricordo ancora fresco dell’insuccesso di Pola X e in generale la sua “scomparsa” dall’ambiente cinematografico e festivaliero rendeva il fundraising dell’opera un’impresa quasi impossibile. Per certi versi fu fondamentale la partecipazione di Carax a Tokyo!, film collettivo uscito nel 2008, composto da tre episodi accomunati dal fatto di essere girati nella capitale nipponica da registi non giapponesi, Carax Michel Gondry e il futuro premio Oscar Bong Joon-ho. Se gli altri due registi si erano affidati ad attori giapponesi come protagonisti dei loro film brevi, Carax era tornato a collaborare nuovamente, per la quarta volta dopo Boy Meets Girl, Rosso sangue e Gli amanti di Pont-Neuf, con Denis Lavant. In Merde Lavant veste i panni del title character un’inquietante creatura che vive tra le fogne di Tokyo, attaccando di tanto in tanto gli abitanti della superficie come un poltergeist; dopo aver sfiorato un attentato, “Merde” veniva arrestato e portato in tribunale, ma il processo non tarda a trasformarsi in un circo mediatico ricco di colpi di scena. Merde ebbe il merito di riportare Carax su un set, facendogli sperimentare le nuove tecnologie di ripresa in digitale e fornendo anche un parziale abbozzo di quello che sarebbe poi diventato il personaggio di Lavant in Holy Motors.

Resosi conto delle difficoltà a finanziare il complesso progetto che aveva in mente, Carax decise di sviluppare un film a più basso budget per riportarsi all’attenzione del cinema francese e internazionale. Holy Motors nacque in lui, a quanto dichiarato nel ricco press kit del film, dall’assommarsi di diverse ispirazioni.

Dietro a un film non ho mai un’idea iniziale o un’’intenzione’, ma piuttosto un paio di immagini e sensazioni che io saldo assieme. Per Holy Motors, una delle immagini che avevo in mente erano quelle lunghe limousine che sono scomparse negli ultimi anni. Le ho viste per la prima volta in America e adesso ogni domenica nel mio quartiere di Parigi in occasione dei matrimoni cinesi. Sono completamente in sintonia con i nostri tempi – al tempo stesso appariscenti e di cattivo gusto. All’esterno sono molto belle, ma all’interno c’è la stessa sensazione triste che fra le quattro mura di un bordello. Nondimeno mi coinvolgono su un piano emotivo, mi suscitano compassione. Sono datate, obsolete, come dei vecchi giocattoli futuristici del passato. Io penso che queste limousine segnino la fine di un’era, la fine delle macchine spaziose e “visibili”, che saltano agli occhi. Queste macchine sono diventate molto presto il cuore del film – il suo motore, se possiamo dire così. Le ho immaginate come lunghi velieri che trasportano gli uomini nei loro ultimi viaggi

Holy Motors è un film meravigliosamente difficile da definire. Non solo attinge a piene mani a ciò che può essere definito “lo specifico filmico” a cui da tempo Pasolini e Deleuze avevano iniziato a dare la caccia – Holy Motors è un vero e proprio trattato di metacinema, con una metafora metattoriale abbastanza palese che si innesta su una trama non conseguenziale ma lineare, che pare celebrare il cinema in tutti i suoi generi. Di base, assistiamo alla giornata della vita di un uomo di nome Oscar, interpretato appunto da Lavant, che gira tutta Parigi in limousine, cambiando identità a ogni tappa: si finge gangster intento a fare un omicidio su commissione, un’anziana clocharde che chiede l’elemosina lungo la Senna, una sorta di “mostro” che vive nelle fogne e che irrompe all’improvviso in superficie interrompendo uno shooting di alta moda, e molti altri personaggi ancora… Finito questo carnevale di ruoli, Oscar torna a casa, e in quel momento scopriamo che sua moglie e suo figlio sono degli scimpanzé; nell’ultima scena, le limousine stesse si mettono a parlare, palesando il loro timore di essere considerate obsolete e quindi sostituite. Verso metà del film, c’è anche una delle ultime apparizioni cinematografiche del leggendario attore francese Michel Piccoli che, interpretando una sorta di superiore del personaggio di Lavant, pare condividere con lui il rimpianto per “quando le macchine da presa ancora si vedevano”: ma a quel punto è il giovane a ricordare al vecchio il motivo per cui entrambi hanno iniziato (a recitare?), “per la bellezza del gesto”.

In Holy Motors c’era abbastanza materiale per far impazzire la critica francese. Carax c’è riuscito e, oltre a vedere il suo film indicato come il migliore dell’anno dall’ambita classifica dei Cahiers du Cinéma, si è reimposto all’attenzione della critica e del pubblico internazionale come ai tempi de Gli amanti di Point-Neuf.

Annette di Leos Carax
Qui sopra e in apertura, alcune immagini del film Annette del regista francese Leos Carax, nelle sale dal 18 Novembre.

Si arriva così ad Annette, il nuovo film di Carax dopo un silenzio registico durato bene o male nove anni. Grazie al successo di Holy Motors, nei ruoli dei due protagonisti Carax ha potuto chiamare una diva francese come Marion Cotillard e un attore hollywoodiano del calibro di Adam Driver. Senza dubbio Annette è un musical d’autore che vede impegnati come compositori oltre che co-sceneggiatori i leggendari Sparks, ma la trama ufficiale è parca di effettive informazioni sui contenuti del film: “una coppia aspetta il primo figlio, Henry è un cabarettista e Ann è una cantante d’opera di fama internazionale. La nascita della loro prima figlia, Annette, una ragazza misteriosa dal destino eccezionale, sconvolgerà le loro vite”. Annette è stato molto acclamato ma anche criticato a Cannes, dove era il film d’apertura della kermesse e dove Leos Carax, indicato fra i favoriti per la Palma d’Oro, alla fine ha vinto il Prix de la mise en scène. Annette è uscito in Francia ai primi di luglio, parallelamente al Festival, e dal 18 novembre arriva finalmente anche in Italia grazie a I Wonder Pictures, Koch Media e Wise Pictures.

In attesa di poter vedere Annette in sala, la mente ritorna a un’intervista al regista vecchia ormai di quasi dieci anni, risalente ai mesi della presentazione di Holy Motors quando ancora non si sapeva se il nuovo film avrebbe riportato Carax ai fasti di Point-Neuf o se avrebbe affossato la sua carriera definitivamente. Al giornalista che gli chiedeva cosa farà se non potrà più girare, Carax – riallacciandosi spiritualmente a quella “bellezza del gesto” che davanti a un cieco Michel Piccoli un calvo Denis Lavant invocava, nella scena per certi versi riassuntiva di tutto il cinéma du corps – rispondeva “Come faccio a saperlo? Forse vagherò per il mondo come Edipo cieco, gridando ovunque: ‘Malédiction !… Moteur !… Action !”. E nella magia profana di queste parole può forse vedersi riassunto tutto il senso del vedere film, e del fare cinema.

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