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Dietro le quinte di Morrison: intervista con Federico Zampaglione

federico zampaglione

Pubblicato il 8 Luglio 2021.

di Leonardo Rafanelli

“Un bella canzone, o un bel film, fanno sempre la differenza. I tempi cambiano, ma quello che conta alla fine, non cambia mai ”. Si muove tra il vecchio e il nuovo, Federico Zampaglione, lungo il filo sottile di dinamiche senza tempo e di suggestioni contemporanee. È questa la ricetta con cui ha realizzato Morrison, la quarta tappa di quel percorso da regista che ha affiancato a una carriera musicale lunga oltre 30 anni.

Abbiamo incontrato Federico nella cornice del Cinevillage Parco Talenti a Roma, una vera e propria festa dedicata al ritorno dei film sul grande schermo dopo le restrizioni per la pandemia, e soprattutto incentrata su quel contatto col pubblico che mancava ormai da troppo tempo. Con Zampaglione e con le produttrici Martha Capello e Ilaria Dello Iacono abbiamo parlato di questo film, di musica e di cinema, in un viaggio dietro le quinte di mondi tanto sospesi nel tempo quanto immersi nelle pieghe della nostra quotidianità.

Prima di tutto, da cosa nasce l’idea che sta dietro questa storia? Quanto c’è di autobiografico?

FEDERICO ZAMPAGLIONE – Beh, è una storia ambientata nel mondo musicale, quindi ci sono tante cose che mi riguardano da vicino. Le troviamo sia nel personaggio di Lodo, il ragazzo, che in quello di Libero Ferri, il musicista più adulto. Diciamo che mi sono ispirato: a cose che mi sono successe, ad altre che ho visto succedere, e anche ad alcune di cui ho sentito parlare. In ogni caso, posso confermare che non c’è nulla di “inventato”, in questo film, per quanto riguarda la musica e le dinamiche musicali.

A proposito di queste dinamiche: in Morrison il mondo delle sale prove è un po’ quello di sempre, quello che i musicisti, grandi o piccoli che siano, conoscono bene. Vediamo però che irrompe la dinamica dei social, delle visualizzazioni. Allora ti chiedo: rispetto ai tempi in cui uscivano tuoi successi come Due destini o come Per me è importante, quanto è cambiata la musica?

FZ – Il modo di fruire la musica è sicuramente diverso, oggi. Basta pensare alle piattaforme di streaming su cui si ascoltano i dischi. Prima c’era MTV, si compravano i CD… il modo di veicolare la musica è cambiato davvero tanto. C’è però una cosa in cui io continuo a credere: le canzoni restano sempre fondamentali. Le puoi veicolare attraverso quello che vuoi, e se sono belle funzionano, mentre se sono brutte non funzionano. Voglio dire, a volte si vuol far credere che la musica sia diventata proprio qualcosa di altro rispetto a quella del passato. `Certo, ci sono tante nuove tendenze e tanti nuovi meccanismi, però un bel pezzo resta sempre un bel pezzo.

E nel cinema, invece? Questo, tra l’altro è il tuo quarto lungometraggio: pensi che oggi le cose siano diverse anche per la settima arte?

FZ – Anche nel cinema ci sono le piattaforme, e molti film vengono visti lì. Sì, si può dire che pure la fruizione dei film sia cambiata, e ci sono tante alternative, anche se va detto che il grande schermo resta sempre il re della visione. In ogni caso, proprio come accade con le canzoni, è il bel film che fa la differenza. 

Per la colonna sonora di Morrison hai collaborato con giovani artisti come Franco 126 e Gazzelle. Come è stato lavorare con loro? Ti sei sentito un po’ come Libero Ferri?

FZ – Beh, sicuramente c’è stato un rapporto meno conflittuale rispetto a quello dei protagonisti del film. Abbiamo fatto delle belle canzoni, e il pezzo scritto con Gazzelle ha preso anche una nomination ai Nastri d’Argento. C’è stato uno spirito di collaborazione che è un po’ anche alla base di questa pellicola, e che passa soprattutto dallo scambio generazionale: nella musica, ma anche in tutto il resto. Ho creduto molto, per esempio, in Lorenzo Zurzolo come protagonista, e il Nastro d’Argento che ha vinto nella sezione giovani è stato una soddisfazione anche per me.

Che ruolo ha la musica in questo film? Una cosa che salta all’occhio è che non c’è una dinamica “nostalgica”, legata a generi del passato.

FZ – C’è un mix di cose: ho cercato di creare un equilibrio tra vecchio e nuovo per dare l’idea di una dinamica senza tempo. Era importante, per me e per quello che volevo raccontare, rimanere lontano da una connotazione precisa, e lasciare tutto un po’ sospeso sul piano temporale.

Questo è stato uno dei primi film a tornare in sala dopo le chiusure per la pandemia. Come è stato questo ritorno, ma soprattutto, come è stato girarlo e produrlo durante il periodo del lockdown?

MARTHA CAPELLO – Portare avanti la produzione nel periodo del lockdown è stata senza dubbio una grande responsabilità. Al di là del rischio di impresa o delle interruzioni, io e Ilaria ci siamo guardate negli occhi e abbiamo pensato a chi lavorava per noi, alle loro famiglie, e ai rischi che potevano correre in questo periodo delicato. Abbiamo allargato questa riflessione anche a Federico Zampaglione, e abbiamo accettato di proseguire solo a patto che venissero messi in atto protocolli e regole ferree. In questo abbiamo trovato grande sostegno da parte di tutto il cast e di tutta la troupe. Federico era il primo a supervisionare con attenzione che tutto si svolgesse nel modo più sicuro.

Questo tipo di esperienza potrà magari tornare utile anche per sfide future? Penso, tanto per fare un esempio, alle green production.

MC – Sicuramente dobbiamo innovarci. La pandemia, nel nostro come in altri settori, ha accelerato tutta una serie di meccanismi che magari erano in atto, ma che avrebbero richiesto molto più tempo per entrare effettivamente in vigore. Il COVID purtroppo ha costretto a mettere sotto esame tutta una gestualità che prima era considerata normale e automatica. Ma siamo sulla strada giusta e in futuro troveremo dei professionisti e delle coscienze un pochino più abituate ai protocolli, alle procedure particolari e al rispetto per alcune tematiche come salute e ambiente. 

Torniamo al film: cosa vi è piaciuto di questa storia? 

ILARIA DELLO IACONO – Tutto parte dal libro che ha scritto Federico (Dove tutto è a metà, ndr). Leggendo il romanzo ci siamo innamorate di questa storia e di questo scambio generazionale, con un Lodo che vuole emergere da una parte, e dall’altra un Libero che si trova in una sorta di decadenza e cerca un modo per risollevarsi.

Il mondo della musica che si vede in questo film quanto somiglia a quello del Cinema?

MC – Beh, c’è un problema di ricambio generazionale, e non solo nel nostro settore o nella musica. È un po’ una fotografia dell’Italia di oggi. Ma una cosa che colpisce di questa pellicola è che Federico in qualche modo non condanna nessuno: sia coloro che vogliono emergere, sia quelli che vogliono rimanere a galla, sono giustificati nella loro umanità. Inoltre Federico, con questo lavoro, è stato uno dei pochi nell’esperienza cinematografica italiana ad aver raccontato una storia romantica che però fa della musica una colonna portante, un personaggio vero e proprio.

Durante l’incontro che ha preceduto la proiezione di Morrison, al CineVillage di Parco Talenti, Federico Zampaglione ha regalato al pubblico un momento musicale del tutto imprevisto.  Immagine di Leonardo Rafanelli

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