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Il cinema tra sala e futuro. Intervista con Leandro Pesci

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Pubblicato il 2 Aprile 2021.

Photo by Erik Witsoe on Unsplash

di Leonardo Rafanelli

La storia di Leandro Pesci, classe 1951, è una di quelle che fanno subito venire in mente il velluto delle poltroncine, e quel silenzio che cala improvvisamente in sala quando iniziano a parlare i film. Di cinema ne ha visto e ne ha costruito tanto, muovendosi dietro le quinte e passando dalla saletta dei proiezionisti ai vertici dell’ex circuito Cecchi Gori. Dalle sue mani sono passati film come La vita è bella di Roberto Benigni, e tanti sono i protagonisti con cui ha collaborato. “Quando ci sono ospiti da invitare alle proiezioni – dice scherzando, ma non troppo – ancora campo di rendita”.

A Roma le sue sale sono tra le più frequentate: il Lux, l’Odeon, il Cinema Intrastevere e il Tibur. Ma ne gestisce anche in Umbria e Sicilia, ed è socio in agenzie di distribuzione e case di produzione. Dal 2021, a 10 anni dal suo primo mandato, è anche tornato alla presidenza di ANEC Lazio.

Insomma, Pesci il mondo delle sale lo conosce bene, e proprio insieme a lui abbiamo voluto fare una conversazione lungo le tracce della storia del cinema italiano, per provare a guardare al futuro in quello che si presenta come uno dei momenti più complicati di tutta la storia del grande schermo.

Cominciamo proprio dall’inizio: si ricorda la prima volta che è entrato in un cinema?

Si metta comodo! Era l’inizio degli anni sessanta, al Cinema Alfieri di Roma. Non ricordo se davano “Una pistola per Ringo” o “Il ritorno di Ringo”, di Duccio Tessari. Ero un ragazzino appassionato di western, e visto che abitavo proprio lì accanto, ogni giorno dopo la scuola mi fermavo a guadare le locandine, estasiato. Devo aver fatto tenerezza alla maschera, perché un giorno mi ha visto e, appunto, mi ha fatto entrare. Gratis, tra l’altro.

E com’è che oggi si ritrova, se così si può dire, “dall’altro lato dello schermo?”

È una storia da Nuovo Cinema Paradiso. Come dicevo, appena finivo i compiti correvo al cinema, e restavo lì davanti. Ho iniziato dando una mano a un signore che faceva il guardamacchine, in cambio di una mancetta. Poi sono passato in sala a vendere gelati e popcorn alla fine del primo tempo. All’epoca c’erano anche i mostaccioli e le fusaie, oggi non si vedono quasi più. Nel frattempo, però, avevo fatto amicizia con il proiezionista, avevo imparato a usare le attrezzature e così, appena finita la terza media, ho preso il libretto di lavoro e sono stato assunto. È cominciato tutto da lì, da quel Cinema Alfieri in cui avevo visto i primi film.

C’è stato un momento in cui ha capito che ce l’aveva fatta, che quella passione avrebbe fatto la differenza?

Nella vita a volte capita il Carpe Diem, il momento in cui cambia tutto. Ho fatto il proiezionista per diciotto anni, prima all’Alfieri e poi all’Empire. Lavoravo per questa azienda che gestiva più di quaranta sale in tutta Roma, ed essendo attivo nel sindacato mi capitava di incontrare il direttore generale. È stato lui a propormi di fargli da assistente, forse perché gli stavo simpatico, o forse perché volevano togliermi di mezzo nelle contrattazioni sindacali (ride, ndr). Comunque, dopo cinque anni ho preso il suo posto, diventando programmista e direttore generale a mia volta. Con la terza media, in effetti: eh, sì, è successo anche questo…

Poi c’è stato il gruppo Cecchi Gori…

Sì: nel 1990 la mia azienda, che faceva parte del gruppo Amati, fu acquistata da Mario Cecchi Gori, e quando suo figlio Vittorio subentrò dopo la sua morte, diventai il direttore generale di tutto il circuito. Ero persino nel consiglio di amministrazione della Fiorentina ai tempi di Ranieri e Batistuta. E tutto è partito da quel Carpe Diem: se non fosse capitato, probabilmente sarei andato in pensione facendo il proiezionista. Non avrei però mai immaginato di arrivare dove sono arrivato. Perché va detto, per almeno 15 anni il cinema in Italia era praticamente il gruppo Cecchi Gori.

Lo rimpiange, il cinema di una volta?

Onestamente non più di tanto. Certo, vedere un film in Cinerama o in 70mm era un’esperienza unica. Con la luce a carboncino l’immagine era molto più calda e pastosa. Ma per un proiezionista tutto questo voleva dire restare segregato in una stanza per undici ore. Certo, forse era più appagante, ma c’era veramente da farsi il cosiddetto mazzo.

Quanto a i film, bisogna dire che il periodo che abbiamo passato negli anni ’70 e ’80, con Dino Risi, Mastroianni, Tognazzi, Gassman, e con Scola, Manfredi… capolavori come quelli ne ho visti pochi, negli ultimi anni. Forse La vita è bella. Poi va fatta una precisazione su cosa si intende per “film bello”. Perché alla fine noi siamo un po’ dei bottegai, e dicevamo sempre, molto prosaicamente: “il film è bello quando il cassetto la sera è pieno”. Per noi era validissimo anche Il trucido e lo sbirro, perché faceva un sacco di soldi. Ma se lo vai a rivedere oggi… diciamo che non è proprio Scola. Sono però contento di vedere che da un paio d’anni i giovani stanno facendo molto bene: ci sono ottimi attori, autori e registi.

C’è qualcuno che le piace particolarmente?

Vicari e Rovere, tra i registi. Ma sono molto contento anche degli attori. Certo, mancano i Mastroianni, ma abbiamo nomi come Mastandrea, Favino, Accorsi, Edoardo Leo: sono bravissimi interpreti e qualcuno è anche un bravo regista. Il problema che magari abbiamo attraversato negli anni ’80 e ’90 è che quasi tutti volevano ripetere il percorso di Leonardo Pieraccioni, che ha fatto un film come attore e poi è passato subito alla regia. Io stavo in Cecchi Gori, mi occupavo di produzioni insieme a Rita (Rusic, ndr), e si presentavano continuamente attori che si proponevano anche come registi e sceneggiatori. Per come la vedo io, è sbagliato: le eccezioni ci sono, ma di base sono mondi diversi.

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Purtroppo il percorso degli ultimi anni adesso si trova alle prese con un brusco rallentamento.

Diciamo pure uno stop completo. Per chi lavora con le sale è una tragedia: siamo chiusi da 14 mesi, non ci sono gli incassi e non ci sono più nemmeno le altre attività come quelle per le scuole o quelle pubblicitarie, o come l’affitto della sala per concerti e convegni. Siamo veramente a terra, e nonostante la chiusura continuiamo a pagare la tassa sui rifiuti, la tassa sull’insegna, e l’IMU è la stessa di quando avevamo l’attività aperta.

Sulle chiusure la politica si è mossa male? Si poteva fare diversamente?

Era difficile fare diversamente. Il problema è che nel nostro caso mancava il prodotto: il virus è un fenomeno globale, e ha colpito duramente la produzione cinematografica internazionale. Non è come riaprire un bar o un ristorante, sarebbe mancata la materia prima. Nessun distributore avrebbe potuto far uscire un film con la situazione dei mesi scorsi, tanto è vero che quando è stata avanzata l’ipotesi di riaprire il 27 marzo ci siamo espressi tutti in modo contrario. La riapertura sarebbe stata praticabile solo per pochi cinema con film di repertorio, ma la maggior parte delle sale sarebbe rimasta tagliata fuori. Diciamo che il Ministero, specialmente nei primi mesi di chiusura, ci è stato abbastanza vicino: i ristori non bastano mai, ma qualcosa alla nostra categoria è arrivato.

Una previsione sulla riapertura si può fare?

Dipenderà molto da come andranno i contagi e la campagna vaccinale, ma si può pensare a una riapertura attorno alla prima decade di maggio. Attenzione, però: i problemi saranno tanti, e a essere ottimisti ci vorranno almeno un paio d’anni per ripartire del tutto. Ci sono produzioni italiane pronte, che dovevano uscire lo scorso Natale. Tanto per dirne alcune, Freaks out di Daniele Mainetti, Diabolik dei Manetti Bros. e Ritorno al crimine di Massimiliano Bruno. C’era anche il film di Carlo Verdone, ma dopo un anno di attesa il produttore ha deciso di uscire direttamente sullo streaming. Certo, con l’uscita inizialmente prevista a marzo 2020, non si può gridare allo scandalo. Ma qui c’è un altro problema: col nostro prodotto si sono avvantaggiate in questo periodo le piattaforme online. E alla riapertura ci sarà anche da lavorare per far tornare in sala un pubblico, giovane e meno giovane, che si è abituato a guardare i film in modo diverso. Bisognerà, ad esempio, collaborare molto con le scuole.

Si può immaginare un modello di convivenza con lo streaming?

Beh, è certo che bisognerà convivere. Adesso ci sono le “window”, finestre temporali tra l’uscita in sala e quella online, che arrivano a 15 settimane. A Los Angeles e a New York i cinema che hanno riaperto hanno proiettato i film in contemporanea con l’uscita in streaming. Si spera di non arrivare a questo modello, ma probabilmente la “window” si accorcerà fino a 5 o 6 settimane.

Quali sono i punti di forza della sala, in questo duello?

L’aggregazione, la socializzazione. E poi, per chi ama davvero il cinema, il buio in sala, senza le distrazioni che ci sono a casa, è fondamentale. È un fascino semplice e senza tempo: schermo bianco, luci che si abbassano, e poi mi ricordo quelle immagini leggendarie della Metro-Goldwin-Mayer, della Titanus, della Cineriz, e anche il famoso CG della Cecchi Gori!

Un’altra cosa si può dire delle sale: sono luoghi veri e propri, che fanno parte delle città. A Roma, poi, ogni quartiere è un mondo a sé: questo influisce sulla gestione dei cinema?

Certamente. Ogni cinema ha un suo contesto, e di conseguenza un suo carattere, Prendiamo il Lux, nel quartiere Trieste: è una multisala cittadina classica, che digerisce bene un film commerciale. Lo stesso film, invece, potrebbe persino essere rifiutato dal pubblico del Tibur a San Lorenzo o del Cinema Intrastevere. Sempre il Lux, inoltre, risente della vicinanza dell’università Luiss, e quindi va fatta una programmazione mista, senza tralasciare film di qualità. Eppure il pubblico di San Lorenzo, che conta allo stesso modo molti studenti universitari, ha gusti più simili a quello dei trasteverini doc, in prevalenza più adulti. E poi c’è l’Odeon in zona Tor di Quinto, dove vanno molto bene i film per famiglie, in particolare i cartoni animati.

Sempre in tema di programmazione, chi la spunterà quando si potrà riaprire? I nomi sicuri o i giovani autori, con film magari a budget più basso?

In questa prima fase saranno i nomi importanti a farla da padrone, anche perché sarà necessario garantire il ritorno economico in quella che è una situazione difficile, dove tutti gli schemi sono saltati. Sarà dunque importante, da parte delle istituzioni, sostenere il cinema italiano, pure per quanto riguarda il lato degli autori emergenti.

In conclusione, come si può vincere la sfida che il cinema ha davanti nei prossimi mesi?

Difficile dirlo, ma penso che ancora una volta la strada passi proprio dalla sala. Bisogna mettersi al passo delle nuove tecnologie, e quindi i cinema devono essere moderni, puliti, con grande attenzione all’accoglienza. Il film si deve vedere bene e si deve sentire bene. Poi, come sempre in questo settore, la differenza la farà il prodotto, e sarà il pubblico a scegliere.

 

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