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Zeros and Ones – la Roma Città Aperta di Abel Ferrara

ethan hawke zero and ones di abel ferrara

Pubblicato il 20 Settembre 2021.

di Ludovico Cantisani

Prosegue con successo l’iniziativa I grandi Festival – Cannes, Locarno e Venezia a Roma e in Regione, una rassegna di film provenienti direttamente da tre dei principali festival europei, un progetto di ANEC Lazio con il contributo della Regione Lazio.

Uno degli eventi di grande successo di questi primi giorni è stata la prima nazionale – all’Eden Film Center – di Zeros and Ones, il nuovo film di Abel Ferrara fresco della vittoria come miglior regista a Locarno. La proiezione del film, girato a Roma in pieno lockdown invernale con protagonista Ethan Hawke e con un cameo anche del nostro Valerio Mastandrea, è stata introdotta dal leggendario regista newyorkese assieme a Giona Nazzaro, direttore del Festival di Locarno.

Zeros and Ones, prima ancora di essere il racconto di una crisi, è la sua rappresentazione registica e impressionistica. Girato in un digitale grezzo da Sean Price Williams, noto soprattutto per i film dei Safdie Brothers, Zeros and Ones ruota attorno alla figura di un militare americano che dopo una precedente missione torna in una Roma ipermilitarizzata, dove tutti indossano mascherine e dove a volte gli viene misurata la temperatura. Sembra avere una missione ufficiale, ma giunto sul posto il militare si lascia coinvolgere dalla ricerca del fratello anarchico, scomparso dopo un rapimento e delle torture, per poi lasciare – apparentemente – che Dio in persona gli parli e lo istruisca nel buio di una chiesa, per bocca di un’anziana fedele. Introdotto e concluso da due intriganti interventi di Ethan Hawke che spezzano la finzione cinematografica, a livello di trama il film si conclude qui: ma c’è molto di più, al di là delle parole.

Lo scenario è decisamente post-apocalittico, forse c’è un virus nell’aria, e sia prima dell’arrivo che durante la permanenza del protagonista si consumano attentati che più che mietere vite sembrano mirare a distruggere i simboli stessi della romanità: ma cercare di mettere ordine in questo fluxus visivo è continuamente ostacolato dallo spirito del film, che sembra andare per suggestioni e situazioni piuttosto che restare fedele a una temporalità lineare.

Zeros and Ones conferma ancora una volta l’insofferenza del cinema di Abel Ferrara per la finzione. Non è la finzione narrativa a disturbarlo, ma la finzione scenica. Certo il lockdown ha dato un’ulteriore spinta in questo senso, ma Zeros and Ones è un film girato senza quasi nessuna delle sovrastrutture che generalmente accompagnano una produzione cinematografica.

Da molti punti di vista, non diverge affatto dai precedenti film di Abel, girati in circostanze più canoniche ma sempre con uno squilibrio tra quello che è il set e quella che è la vita che gli si svolge attorno: ritorna il sincretismo religioso del montaggio di 4:44 – Last Day on Earth; ritorna l’ambientazione unica del documentario Piazza Vittorio, oltre che dell’esperimento di autofiction Tommaso; ritornano anche le suggestioni visive del controverso Pasolini, soprattutto nelle inquadrature del Colosseo di notte.

Al tempo stesso, Zeros and Ones è decisamente un’innovazione nel percorso di Ferrara: rendendo volutamente ancora più grezzo e “disorganico” lo stile di regia e riducendo al minimo lo stesso cast, Zeros and Ones ne guadagna proficuamente in termini di soluzioni visive, di sottotesti, di perturbazioni dell’immaginario.

C’è innanzitutto una cosa non da poco, a voler inquadrare il film dal punto di vista di tutta la tradizione cinematografica: il fatto che, semplicemente, questo Zeros and Ones è la Roma Città Aperta di Abel Ferrara. Con il film di Rossellini Zeros and Ones non condivide soltanto lo spunto dell’attualità, la presenza minacciosa di soldati e di uniformi, e l’essere una lettera d’amore alla città nascosta sotto cumuli di macerie: queste sarebbero state poco più che contingenze, fra i due film. Ma il fatto che nella scena in cui si vedono le torture inflitte dal personaggio di Mastrandrea al fratello gemello e Doppelganger del protagonista l’aguzzino si diverte a dire “fossimo stati in un altro tempo, questo sarebbe stato olio di ricino, e io ti avrei chiamato partigiano”, lascia intendere che le intenzioni di Ferrara di richiamarsi al Neorealismo fossero consapevoli ed esplicite, e pienamente inglobate al tempo stesso all’interno di un immaginario e di un linguaggio del tutto personali. Certo che a Zeros and Ones manca ogni classicità, il fattore che, in un 1945 sempre più lontano, all’indomani della tragedia rendeva il film di Rossellini e della Magnani così tanto dirompente e così tanto universale.

Zeros and Ones non si riduce però al suo spunto di attualità, di cui tutt’al più rappresenta una trasfigurazione: il film di Ferrara crea una propria grammatica visiva in cui la Roma del Covid è preponderante, ma tematicamente il discorso si svolge altrove, andando oltre un semplice Zeitgeist. In Zeros and Ones c’è innanzitutto una dimensione metacinematografica, i cui confini forse restano ambigui per Abel stesso. Tutti i film, in primis il protagonista, e nei momenti più inaspettati: e oltre alle riprese “normali”, ancora più grezze dell’immagine primaria già sottotono, spesso a queste inquadrature-nelle-inquadrature o scene-nelle-scene si aggiunge anche una estremizzazione dell’immagine, modificata più volte in infrarossi.

I significati di questo sottotesti del film sono almeno tre: da un lato, una situazione alla ‘Grande Fratello’, oggettivamente tipica del nostro tempo, in cui la sorveglianza è reciproca ma c’è un potere decentrato ma definito che ha un monopolio comunicativo di fondo, soprattutto in quella che è la comunicazione ufficiale dell’emergenza; ma, dal momento che il film dà voce anche all'”altro lato”, agli attentatori, vi si legge anche un discorso sul terrorismo mediatico, che non dimentica come, pochi anni prima del covid, la nostra principale preoccupazione era il terrorismo islamista i video che l’ISIS mandava in cui sgozzava nel deserto le sue vittime; e, infine, una battuta sparsa, “filma sennò non ti credono”, detta al protagonista in un momento neanche cruciale del film, sembra alludere oscuramente a una certa dimensione social, che implica una continua testimonianza, report e confessione della propria vita, anche nei pochi aspetti privati che la dimensione di emergenza consente al personaggio di Ethan Hawke di vivere. E non per nulla il titolo, Zeros and Ones, sembra alludere al sistema binario a cui tutte le immagini (digitali), a un livello più profondo, possono essere ridotte. Facendo esplodere i monumenti e degradando l’immagine fino a questa ruggine visiva, cosa resta di Roma e cosa resta del cinema? Zeros and Ones suggerisce una risposta. 

Questa scelta di inserire all’interno del film fotogrammi girati dai suoi stessi personaggi peraltro lega Zeros and Ones a un altro grande film del passato, il monumentale Fino alla fine del mondo di Wim Wenders: alcune immagini in infrarossi sono davvero le stesse con cui, nel film di Wenders, i protagonisti arrivavano a riprendere i loro stessi sogni. Come suggerisce il titolo, anche Fino alla fine del mondo era ambientato in uno scenario apocalittico, pre-apocalittico in questo caso: ma la risoluzione era più nettamente felice, e il film metteva in scena un vero e proprio viaggio intorno al mondo al termine del quale, sfumato il pericolo di apocalisse, la protagonista ritrovava sé stessa e scopriva la sua vera identità. Diversamente anche da 4:44 – Last Day on Earth, l’altro film apocalittico di Abel Ferrara, Zeros and Ones si discosta nettamente dal paradigma di fondo di gran parte dei film sulla fine del mondo o di un mondo, e del significato etimologico del termine stesso di apocalisse: non c’è nessuno “svelamento” e nessuna rivelazione, né a livello personale per il protagonista né a livello collettivo per la società in cui vive(va). Da un certo momento in poi il protagonista è all’esplicita ricerca di una sua missione, di una vocazione quindi, che diverge da quella che gli hanno imposto i suoi superiori e che sembra coincidere con quella che gli avrebbe assegnato Dio, un dio; ma questa Roma che sfugge ad ogni dualismo picaresco e in cui i contorni fra il bene e il male, il puro e il corrotto sono quanto mai sfumati fino ad avvolgere lo stesso protagonista di Ethan Hawke, non ha nulla di quel carattere rassicurante e quasi festoso che caratterizza il grosso dei film di questo “genere”, in cui alla fine vince sempre l’umanità o almeno una verità profonda sull’uomo.

Non mancano i momenti di estasi puramente visiva, certo, ma in tutto Zeros and Ones alberga una dimensione spirituale fumosa che può anche dar disagio: verso la fine il flusso narrante in voice-over del protagonista conclude che “il mondo è il nascondiglio di Dio”; ma per il grosso del film, complici anche le musiche nervose e implacabili di Joe Delia, la lezione che sembra dover trarre è che il mondo sia il nascondimento di Dio, il luogo da cui Dio si è ritratto.

Aver visto sul grande schermo Zeros and Ones nella città stessa in cui è stato girato e ambientato, in un momento in cui auspicabilmente abbiamo il Covid alle spalle, ha creato un cortocircuito esperienziale raro, ma la dimensione esistenziale – più che la storia – che l’ultimo film di Abel Ferrara racconta è universale o almeno lo è stata, nell’anno e mezzo di pandemia che in tutto il mondo ha attecchito.

In attesa del biopic di Ferrara su Padre Pio con Shia LeBeouf e William Defoe, le cui riprese partiranno a breve in Puglia, non sorprende che Zeros and Ones abbia attratto l’interesse e il plauso sia di un festival marcatamente autoriale e cinéphile come quello di Locarno, che ha lasciato a Ferrara il premio alla miglior regia, che di un distributore fondamentalmente massimalista qual è l’americano Lionsgate.

Tornando alla rassegna de I grandi Festival, che prosegue fino al 26 Settembre in alcune sale di Roma e del Lazio, fra i prossimi appuntamenti ricordiamo A Chiara di Jonas Carpignano, premiato a Cannes, il controverso America Latina dei fratelli D’Innocenzo, reduci da Venezia, e il Leone d’Oro L’Évenement, che sarà proiettato giovedì 23 sera sempre all’Eden Film Center; da non sottovalutare neanche I Giganti, film indipendente sardo di Bonifacio Angius, I nostri fantasmi, presentato alle Giornate degli Autori di Venezia, e il docufilm di Daniele Segre su Tonino De Bernardi, patriarca e leggenda del cinema indipendente italiano.

Maggiori informazioni sulla manifestazione
Programmazione
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