Una conversazione con Sean Connery: seconda parte

 

Pubblichiamo la seconda parte della conversazione tra Mario Sesti e Sean Connery: qui è disponibile la prima puntata.

di Mario Sesti

Lei ha lavorato con alcuni dei più grandi registi in circolazione, da Hitchcock a Spielberg. Si è fatto un’idea di come dovrebbe essere il regista ideale? E perché spesso ama lavorare con giovani registi?

I registi sono tutti diversi, secondo me. Così come gli attori. La risposta a entrambe le domande è che la prima cosa che guardo ed esamino con attenzione è il copione. Se non c’è il copione, allora non c’è un progetto, non si ha idea di cosa si debba fare. Persino Hitchcock fu molto sorpreso quando gli ho risposto che per prima cosa volevo leggere il copione, quando mi ha chiamato per Marnie. Non so spiegarglielo, ma ho bisogno di una mappa per riuscire a partecipare, altrimenti non so quando e come devo intervenire. Questo è uno dei motivi che mi ha spinto a rifiutare ottime parti. In quei casi mi sono ritrovato spesso a dire: “sicuramente troverete un altro americano, inglese o francese che lo può fare al mio posto”. Perciò, la prima cosa è il copione, perché non c’è film, per quanto il regista possa essere bravo, che alla fine viene fuori come era stato concepito. Se non sono informato su quello che devo fare allora non riesco a percepire il valore della mia partecipazione, né riesco a immaginare il film.

Lei sa – parlando di Hitchcock – che lui parlava molto bene di lei, cosa che non faceva così frequentemente con i suoi attori?

Ho avuto un bellissimo rapporto con Hitchcock e di solito non do mai molto credito a quello che leggo o sento dire di qualcuno; non avevo pregiudizi quando l’ho incontrato. L’ho trovato una persona estremamente conviviale e amichevole, che ama dare sostegno in modo molto professionale. Sembrava un po’ distaccato ma in realtà era molto simpatico, ed è stato divertente lavorare con lui. Anche sua moglie lavorava con lui, nel montaggio, non riesco a ricordare il nome – Anna?

Alma Reville.

Ah sì. Comunque ho uno splendido ricordo di Hitchcock.

Le è talvolta capitato di non riuscire ad andare d’accordo con il regista a causa della sua personalità, del suo metodo o del modo di dirigerla?

No, la maggior parte dei rapporti con i registi sono stati ottimi, sono ancora amico dei registi e degli scrittori con cui ho lavorato, da Michael Crichton a Steven Spielberg, Martin Ritt, Aldred Hitchcock.

Non ho mai avuto problemi; l’unico problema l’ho avuto con La lega degli uomini straordinari, il cui regista dovrebbe essere dichiarato pazzo. Penso fosse davvero matto ma l’ho scoperto purtroppo solo nel primo giorno di riprese. Forse era un po’ troppo tardi. Con un budget di 85 milioni di dollari, lui aveva controllo su qualsiasi cosa ed è stata una guerra fra noi fino all’ultimo giorno. Ma generalmente non ho avuto problemi con i registi, né con gli attori o con le attrici. Non mi viene in mente nulla: forse dovrebbe chiederlo a loro. In realtà, quando lavoro, l’unica cosa che ho in testa è il film”

Parlando di attori: lei è così ammirato dai giovani colleghi. Qual è la sua opinione rispetto agli attori famosi con cui ha lavorato in passato?

Beh, fra i giovani attori mi piace Ewan McGregor, Jude Law, Brad Pitt. Ad esempio Brad Pitt ha fatto un film, Troy, che secondo me è bellissimo e lui l’ha interpretato benissimo. Purtroppo ha avuto più successo all’estero che negli Stati Uniti. Ewan McGregor è molto versatile, anche lui un tipo diverso di attore, molto ‘fisico’; e Jude Law – a parte il fatto che è un uomo molto bello – è anche un attore molto bravo. Comunque non ho lavorato con nessuno di loro”

Forse conosce McGregor?

Non bene. L’ho incontrato a Parigi per il Mondiale, quando il Brasile ha battuto la Scozia nella prima partita. Ma ho sentito molto parlare di lui e ho parlato con dei registi che hanno lavorato con lui. Purtroppo non sono riuscito a vedere il suo Bulli e pupe che è stato in scena a Londra. Mi è dispiaciuto.

Va spesso a teatro?

Ci vado più a New York, quando sono lì, che a Londra. Perché in qualche modo mi è più facile. Ho prodotto un paio di spettacoli a Londra e ho prodotto Art a Broadway che ha vinto il Tony Award. Mi chiedo se Art sia mai stato fatto in Italia. È un lavoro meraviglioso, parla di tre uomini, è molto interessante: è sull’amicizia, sulle stronzate e sull’arte. Ha tutti gli elementi che ci devono essere in un lavoro del genere: è artistico e commerciale”

Perché ha scelto di diventare anche produttore di cinema e teatro?

Sono produttore esecutivo da oltre venti anni, ho avuto una società di produzione a Hollywood, la Fountainbridge, che ho liquidato da poco. È un modo per avere più controllo e voce in capitolo. Normalmente, è qualcosa che richiedo per contratto, ma in una situazione come la lavorazione del film Scoprendo Forrester, il modo in cui ho fatto quel film, anche in qualità di produttore, era il modo migliore per quel tipo di film. Sono andato in Canada e ho portato con me lo sceneggiatore che aveva il compito di controllare gli attori che non avevano mai recitato in ruoli da protagonisti. Abbiamo provato per due settimane e abbiamo girato con l’autore del copione sul set per tutto il film. Il film è costato 41,500 milioni di dollari che è tanto ma niente rispetto a quello che costerebbe ora. Entrapment è un altro esempio.

Essere un produttore è un lavoro molto impegnativo…

Sì, ma mi piace molto il lavoro di squadra in un film. Mi piace il cameratismo ed è questo il motivo per cui ho lavorato con registi come Spielberg e Sidney Lumet, perché la partecipazione è al 100% dal primo giorno. Ad esempio, con Sidney Lumet, si prende il copione, si legge pagina dopo pagina fino alla fine, si parla di qualsiasi cosa, si chiamano gli attori e si prova come a teatro. Poi si esce e si gira il film a un ritmo molto professionale, in sole sette settimane. È così che mi piace lavorare. Non mi piace lo spreco di tempo.

È difficile unire la recitazione, che è un lavoro di concentrazione, con la regia e la produzione di un film, che sono anche impegni multiformi e complessi?

Sì, in un certo senso. Ma io, ad esempio, quando lavoro ad un film, preferisco fermare le prove e affrontare le scene della settimana successiva di lavoro, e voglio che gli attori mi seguano. Tutti conoscono come lavoro e familiarizzano con questo metodo. Significa che ci vuole tempo per digerire quello che bisogna fare ma, in questo modo, la volta dopo, quando torni sul set dopo una settimana o il weekend successivo, sai già quello che devi fare. Ho fatto la stessa cosa con John Houston e Michael Caine nell’Uomo che volle farsi re.

Sta dicendo che fare il produttore di un film in cui recita è un modo per familiarizzare con le persone con cui lavora e ottenere così migliori risultati?

Sì. In questa maniera coloro che lavorano sul film iniziano a lavorare dopo essersi già incontrati: e se ciò accade sul set questo incontro genera un atteggiamento molto più ‘puro’.

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